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Roma Città-Stato
All’inizio del secolo XI le principali città del nord Italia stavano gradualmente ottenendo maggiore autonomia al fine di raggiungere la condizione di città-stato indipendenti. Roma, malgrado fosse stata una delle prime a cercare la propria autonomia, era ancora lontana dal potersi ritenere una città-stato. L’idea di ridare vita alla Repubblica aveva da sempre entusiasmato i romani e in quel momento storico il nord poteva non solo fornire un incoraggiante modello da perseguire, ma anche mostrare i passi necessari da intraprendere: indebolire la nobiltà feudale; privare il clero della proprietà terriera; esentare il Papa dai doveri e dai privilegi di principe della Chiesa.
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Tale formula ebbe successo per l’affermazione dei comuni del Nord, soprattutto perché l’aristocrazia della zona era sempre stata piuttosto patriottica e indifferente ai capricci dei vescovi. Città-stato come Firenze, Milano, Pisa e Genova presero forma grazie all’appoggio militare dei ricchi e liberi cavalieri che erano riusciti a frenare gli animi e le armi dell’aristocrazia feudale. Questi riuscirono, inoltre, a sostituire la giurisdizione feudale dei territori con un sistema legale governato da magistrati e rappresentanti eletti.

La Chiesa era riuscita a creare un sistema ecclesiastico lungo tutta la penisola italiana, nominando vescovi al fine di salvaguardare il potere e stringere alleanze con i nobili locali. Il Papa rappresentava lo Stato pontificio come un sovrano ordinario: controllava direttamente i territori donati dai franchi in cambio della lealtà al loro re, Pipino il Breve. Questo evento ebbe luogo nel 756. Il Papa divenne il solo legittimo sovrano di Roma e il guardiano della corona imperiale. Ma l’evidenza mostra che l’autorità papale fuori le mura romane, soprattutto nella regione lombarda, rimase sempre vulnerabile.

Le cose erano chiaramente diverse all’interno delle mura romane. Il tessuto sociale era il risultato di una struttura politica completamente diversa dalle altre realtà. Infatti, Roma impiegò un altro secolo per diventare una città-stato. Ciò fu principalmente dovuto all’autorità del Vescovo della città che, a differenza degli altri non poteva essere indebolito facilmente. Questi non era solo un vescovo, ma il Pontefice – la guida della Chiesa cattolica e il cuore del cattolicesimo. Tale concetto era molto chiaro al popolo romano e fortemente sostenuto dall’aristocrazia feudale della città.

Per i nobili romani, la possibilità di ottenere il titolo di Principe della Chiesa era ancor più seducente dell’icona incarnata dal Pontefice stesso, soprattutto perché erano coscienti dei privilegi e delle concessioni che, una volta conquistato il titolo, si sarebbero ottenuti a favore delle casse della propria famiglia. Sapendo bene che i propri subordinati erano più inclini alla ricerca di investiture e all’esercizio del potere clericale piuttosto che a trattare questioni spirituali, gli arcipreti approfittarono di tale vanità e fomentarono gelosie e odio tra i contendenti, al fine di tenerli strategicamente divisi e allontanare, di conseguenza, lo spirito comunale dal risveglio.

Nel 1143, tuttavia, questo scenario politico alimentato dalla corruzione del clero e dalla tirannia delle fazioni, era diventato intollerabile e le scintille rivoluzionarie del Nord cominciarono a illuminare le strade all’interno delle mura di Roma. Un’alleanza tra un ristretto gruppo di patrizi liberei e le classi medie inferiori, diede vita al movimento rivoluzionario che riuscì a ottenere il controllo del Campidoglio e a proclamare legittimamente un Senato. La rivolta del 1143 segnò l’inizio di una nuova era per Roma. La città fu divisa in due fazioni principali: l’antica aristocrazia consolare da un lato e il nuovo Senato comunale dall’altro.

La struttura di potere del Campidoglio fu destabilizzata dal colpo di stato, ma l’obiettivo principale rimaneva quello di annientare il dominio temporale del Papa attraverso la restrizione dei compiti e dei privilegi che aveva come Principe della Chiesa, in quanto vescovo di Roma, e attraverso la cancellazione dei diritti di proprietà di cui godeva il clero. Nel nord Italia l’obiettivo era stato esattamente lo stesso.

Arnaldo da Brescia attaccò fortemente il principio che legittimava il Papa come amministratore supremo e garante di tutti i beni ecclesiastici e lo considerò incompatibile con i fondamenti del cattolicesimo. Questi divenne il principale divulgatore di tale pensiero, portò le proprie argomentazioni per le strade e i mercati di Roma e rese chiaro a tutti che la secolarizzazione della Chiesa era un passaggio necessario da affrontare.

La ratifica della prima costituzione comunale, nel 1144, diede ufficialmente vita alla nuova epoca senatoriale. Il comune ottenne con successo la rinuncia da parte del Papa a qualsiasi funzione temporale; questi fu invitato ad affidare il proprio regno ai patrizi che costituivano il Senato. Da allora in poi avrebbe vissuto senza l’ausilio della decima elargita dallo stato.

Grazie a tale rivoluzionario cambiamento, la scena romana era finalmente pronta affinché le corporazioni emergessero e modellassero l’arena politica. Ma ciò, di fatto, non avvenne prima della metà del secolo XIII, quando Brancaleone degli Andalò fu nominato senatore nel 1252. Una volta al potere, abolì il Senato e permise a Roma di diventare una vera città-stato. Nei secoli successivi, Roma visse un meraviglioso e rigoglioso rinascimento, dovuto principalmente alla partecipazione delle corporazioni all’amministrazione del comune.

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Approfondimenti


Bibliografia

  • Gregorovius Ferdinand.  Storia della città di Roma nel Medioevo. (1872)
  • Staccioli Paola. Roma Artigiana (1996)
  • Jean Claude Marie Vigueur. Il comune Romano 2001

Sitografia

  • Università e Nobil Collegio degli Orefici
  • Archivio Storico Capitolino
  • Biblioteca del Senato

Proseguimento

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